Esperto di Calcio

13 dicembre 2012

Squadre leggendarie: il Chelsea di Mourinho


"Boring boring Chelsea". In tutti gli stadi inglesi, a partire dal 2005, riecheggiava questo coro. Io non credo che i Blues di Mourinho fossero una squadra noiosa, tutt'altro. Erano compatti e cinici, come la Juventus di Capello o il Bayern Monaco di Hitzfeld. Concretezza e solidità sono nel calcio sinonimo di vittoria, non di noia, e questo dogma vale anche per quelle squadre che non esprimono un calcio eccessivamente divertente.
Lo Special One approda sulle rive del Tamigi nell'estate del 2004. Eredita da Claudio Ranieri una buona squadra, a cui mancano alcuni tasselli per diventare una corazzata vincente. Il primo momento di svolta, per il Chelsea, è proprio l'ingaggio del tecnico portoghese. La sua profonda conoscenza del calcio ed il suo carisma trasformeranno ottimi giocatori in campioni, una squadra ad un passo dalla gloria in una micidiale armata.
La ristrutturazione del Chelsea passa da un faraonico mercato in entrata, che porta a Stamford Bridge fuoriclasse di livello mondiale. Cech, Ricardo Carvalho, Paulo Ferreira, Alex, Robben e Drogba andranno a comporre la spina dorsale della squadra.
Mourinho schiera il suo Chelsea con un 4-3-3 mascherato, con un solo terminale offensivo di ruolo e libertà di inserimento da parte dei difensori.
In porta non ci sono dubbi, Peter Chech spodesta Carlo Cudicini e diventa l'indiscusso leader di una retroguardia a quattro. Qui l'esperienza di John Terry e William Gallas si fonde con le abilità tecnico tattiche dei portoghesi Carvalho e Ferreira. Un vero bunker, capace di subire 15 goal in 38 partite, una media allucinante. Merito dei difensori, ma anche di un centrocampista passato alla storia troppo sotto traccia.
Sto parlando di Claude Makelele, formidabile interditore di centrocampo. Piazzato davanti alla difesa, il roccioso francese era un ostacolo insormontabile per gli avversari ed allo stesso tempo il primo regista della squadra. Accanto a lui, nel ruolo di mezzali, agivano un giovane Frank Lampard ed il portoghese Tiago. Il lavoro che Mou chiedeva loro era semplice: aiutare Makelele in fase di contenimento e buttarsi negli spazi per sfruttare le sponde di Drogba. Tiago si rivela poco adatto a questo gioco, tanto da esser rimpiazzato l'anno dopo da Michael Essien, mentre Lampard trova la sua definitiva consacrazione. Con 13 reti diventa capocannoniere della squadra e si guadagna sul campo i galloni del leader.
Sugli esterni agivano a turno Duff, Gudjohnsen, Joe Cole ed Arjen Robben. Il lavoro delle fasce sfiancava le difese avversarie e permetteva a Drogba di trovare spazio e tempo per concludere in porta.
Nell'anno del centenario Mourinho riporta il titolo a Londra dopo 50 anni di attesa, registrando numeri impressionanti. 29 vittorie, 8 pareggi ed una sola sconfitta; 72 reti fatte e 15 subite, un vero e proprio schiacciasassi. La solidità dei Blues era tale da portare le squadre avversarie a scoprirsi, nel vano tentativo di trovare il goal. Gli uomini di Mou andavano a nozze in queste situazioni, trafiggendo le porte avversarie con straordinaria regolarità.
Come tutti i meccanismi ben organizzati, il Chelsea non ha alcuna intenzione di modificare il proprio standard. Così, l'anno successivo, vengono acquistati Pedro Maniche, Michael Essine, Shaun Wright-Philips e Asier del Horno. Il trend è chiaro, continuare la strada intrapresa. Detto-fatto, la riconferma in campionato porta in dote altre 29 vittorie e soli 22 reti subite.
Difficilmente una squadra può essere ricordata per l'eccellenza di un singolo reparto di gioco, ed il Chelsea di Mourinho non fa eccezione. Sarebbe un errore ricondurre i successi e la gloria ad un perfetto assetto difensivo, il vero segreto dei Blues era l'organizzazione. Una squadra corta, compatta, che faceva della corsa il suo punto di forza. I reparti erano compatti come poche volte ho visto nella mia vita, in 50 metri erano schierati tutti e undici i giocatori. E che giocatori, per vincere servono grinta e piedi buoni, non basta un ottimo assetto tattico. Il Chelsea univa alla perfezione queste caratteristiche, giocando palla a terra per liberare al tiro centrocampisti ed attaccanti.
Il Chelsea e l'Arsenal, a partire da fine anni '90, hanno rappresentato una vera e propria eccezione in Premier League. Il calcio britannico, da sempre abituato a giocare con quei profondi lanci lunghi per il "pilone" di turno, ha scoperto un nuovo calcio. Passaggi corti, sovrapposizioni, velocità e tecnica sono alla base del modo d'intendere il calcio di Wenger e di Mourinho. Le due personalità, che mai si ameranno nel corso della carriera, celano però due profonde differenze. Il francese è un cultore del calcio spettacolare, fatto di tocchi raffinati e azioni pregevoli; il portoghese è invece un pragmatico, amante del risultato e della concretezza.
Penso che intendere il calcio in questo modo sia fantastico, anche se le partite si rivelano poco spettacolari. Non tutti gli allenatori sono in grado di dare una simile organizzazione di gioco, che cela dietro di sè un'immensa capacità motivazionale. Si è spesso sentito dire che Mourinho è un grande motivatore, uno psicologo, e non credo che la definizione sia sbagliata. Riesce a caricare i suoi ragazzi come pochi al mondo, dando loro consapevolezza di forza e voglia di lottare. I calciatori lo ripagano con un'attenzione maniacale in campo, con una grinta fuori dal comune. Mi piace soffermarmi ad osservare gli sguardi dei giocatori durante le partite e negli occhi dei "Mourinho boys" era possibile vedere un fuoco ardente. Merito della loro professionalità, ma anche del tecnico portoghese.
Per essere un grande allenatore, nel calcio moderno, non basta avere conoscenze tecnico-tattiche, occorre saper lavorare sulla mente dei giocatori, bisogna proteggerli dalle pressioni e motivarli ad esprimersi. In questo lo Special One è un maestro e a chi cantava "boring boring Chelsea" rispondo che è solo invidia.

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