Esperto di Calcio

7 settembre 2013

Storie di calcio: Alessio Tacchinardi

Alessio Tacchinardi, uno dei centrocampisti più tamarri della storia del calcio, ma pur sempre un campione d'Europa. Gli amici di Esperto di Calcio ricorderanno questo fantastico video con Del Piero, in cui i due deliziano la platea con un ballo "favoloso".



Tuttojuve ricostruisce la carriera del mediano bergamasco, che ha poi trascorso quasi tutta la carriera in bianconero, con la maglia juventina.

Nato a Crema il 23 luglio 1975, ha fatto rapidamente le sue scelte: la Juventus e Platini. D’altra parte in quei tempi (fine anni settanta, primi ottanta) la scelta era obbligata: c’era una squadra che vinceva e dettava legge e c’era un campione che parlava con la “r” moscia, dava spettacolo ed incantava, oltre a risultare spietatamente decisivo.

«Quando avevo dodici o tredici anni, mio padre mi portò a Torino per vedere per la prima volta dal vivo la mia squadra preferita. Era un Juventus - Sampdoria, ricordo ancora l’emozione per la cornice di folla del “Comunale” e per il fatto di poter vedere giocare dal vivo i miei idoli. Fu una bellissima partita, decisa da uno straordinario goal di Platini. Cosa potevo pretendere di più?»

La carriera di Alessio Tacchinardi prende la via di Bergamo, dopo che suo fratello Massimiliano, difensore di ruolo di qualche anno più grande di lui, aveva trovato fiducia nelle giovanili dell’Inter. Impostato fin da giovanissimo come centrocampista, Alessio Tacchinardi negli Allievi dell’Atalanta era utilizzato stabilmente come tornante. Vista la sua personalità, il senso della posizione, l’autorità e la perentorietà del lancio, Prandelli decise di proporlo come regista. L’esperimento riuscì perfettamente ed il giovanissimo Alessio fu protagonista assoluto dell’irripetibile stagione che portò la squadra nerazzurra a dominare la scena giovanile vincendo, nel 1993, il Torneo di Viareggio ed il campionato nazionale “Primavera”.

La Juventus lo opziona nello stesso anno, lasciandolo ancora una stagione con i nerazzurri. Un litigio fra i dirigenti dell’Atalanta ed il nuovo corso juventino (erano già d’accordo per lasciarlo un’altra stagione a Bergamo, a maturare con Mondonico, quando le richieste esorbitanti per definire le posizioni di Morfeo e Locatelli interruppero bruscamente il dialogo ed incrinarono i rapporti fra i due club, tradizionalmente amici) dirottò Alessio Tacchinardi a Torino con un anno di anticipo rispetto ai tempi previsti.

Alla Juventus, Tacchinardi trova davanti a sé due centrocampisti di consolidata fama internazionale come Paulo Sousa e Deschamps. Ma è il portoghese, indubbiamente, l’uomo a cui somiglia di più. «Avere davanti a me Paulo Sousa è molto importante», diceva Tacchinardi durante il ritiro di Buochs, «perché gioca come piace a me. Da lui potrò imparare molto e crescere ulteriormente».

Il portoghese, che non è certo un vecchio, era anch’egli molto accattivante nei suoi giudizi. «Tacchinardi», ha detto Paulo Sousa, «ha già grandi qualità: il suo senso della posizione e la rapidità nell’impostare sono già buone. A mio avviso dovrebbe rischiare un tantino di più il lancio lungo: piedi ed intelligenza non gli fanno certo difetto».



«Ha già una notevole maturità», sono le parole Didier Deschamps dopo le prime partitelle, «deve solo migliorare nel recupero della palla: una qualità che cresce insieme con la maturazione fisica».

La Juventus gioca a zona e Lippi decide di schierarlo nel ruolo di difensore centrale; una soluzione azzeccata, poiché gli permette di compiere grandi passi. La convocazione nella Under 18 gli spalanca cieli azzurri. Sergio Vatta, il tecnico che lo ha lanciato in Nazionale, dice: «Alessio è fra i migliori giocatori che ho avuto. Possiede una straordinaria visione di gioco e sa intuire con molto anticipo come si muoveranno i compagni».

Quasi scontata la promozione in Nazionale A. Gioca la prima gara come difensore, accanto a Ferrara e Costacurta, il 6 settembre 1995 a Udine contro la Slovenia (1-0). Arrigo Sacchi, per il Campionato Europeo delle Nazioni, convoca praticamente tutto il calcio italiano. Alessio gioca la sua onesta partita, ma poi deve fare posto ai rientranti Maldini, Benarrivo, Mussi, Apolloni ed agli esordienti Torricelli, Pessotto, Carnasciali e Padalino. Con l’arrivo di Cesare Maldini le cose peggiorano e Tacchinardi non ha possibilità di scendere in campo. Lo riscopre Zoff che, il 23 febbraio 2000, lo fa giocare a Palermo contro la Svezia (1-0). Ma arrivare alla terza presenza è dura.

Altra musica si balla alla Juventus. L’occasione giusta arriva nel 1995 a Parma, finale di Coppa Italia: Lippi lo piazza in difesa e lui gioca una delle più brillanti partite della carriera. Dopo l’exploit di 24 presenze, soffre una crisi di identità di ruolo: libero o centrocampista? Il dubbio viene sciolto dal campo nel 1997: da quel momento in poi, in Italia e in Europa, applaudiranno un grande centrocampista dotato anche di una gran fucilata da fuori area.

Dopo Lippi, “Carletto” Ancelotti ne fa uno dei protagonisti dei suoi quasi due scudetti. Quando Umberto Agnelli scarica, con uno stile Juventus tutto personale, Ancelotti per restituire la panchina a Lippi, Tacchinardi regala a “Carletto” un goal di rara bellezza contro l’Atalanta, ultima gara di un campionato sfortunato, il 2000/01.

Ritorna Lippi e, per Alessio, sono altri anni di grandi trionfi; due scudetti, due Supercoppe Italiane ed una finale di Champions League persa contro il Milan. Dopo Lippi è il turno di Capello; con “Don Fabio”, Tacchinardi conosce più la panchina che il campo, ma riesce a conquistare un nuovo tricolore, il sesto della sua eccezionale carriera.

Nell’estate del 2005, Alessio abbandona la Juventus e si accasa in Spagna, nel Villareal; nonostante non sia una squadra formata da grandi campioni, Tacchinardi riesce a trasferirne tutta la sua esperienza fino a portarla alla semifinale di Champions League, eliminati dall’Arsenal, con grande rimpianto per un calcio di rigore fallito, nel finale della partita di ritorno, dall’argentino Riquelme.

«Dopo l’arrivo di Capello mi sono sentito ai margini della squadra. Così, quando è arrivata la proposta del Villarreal, l’ho accettata. In Spagna ci sono meno tensioni e pressioni. Lì se provi la giocata e non ti riesce, non ti fischiano. Diciamo che in Spagna, come in altri Paesi, c’è più cultura sportiva. Quando abbiamo eliminato l’Inter dalla Champions, ho provato una grandissima gioia!»

Un grande fra i grandi protagonisti bianconeri, con 404 presenze, 15 reti e ben 15 trofei conquistati.

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