Esperto di Calcio

13 novembre 2013

Storie di calcio: il cinismo tedesco infrange il sogno di Cenerentola

E' la sera delle seconde scelte, di quelli cresciuti nell' ombra di qualcun altro o nell' ombra della provincia, che poi e' la stessa cosa. Gente fuori dalla porta, mentre gli altri hanno onorificenze e siedono nei posti importanti. Berti Vogts viveva con l' ingombrante presenza di Franz Beckenbauer da una vita, il regale compagno di tante battaglie l' ha tenuto alla sua destra, come terzino e come vice per lunghi anni. Poi, dopo aver vinto tutto da giocatore e da selezionatore, Franz gli ha ceduto, sempre regalmente, il posto di commissario tecnico. Berti ha macinato rabbia fino a ieri sera, Wembley, Londra, lo stadio del mito lo chiamano. e questo deve aver fatto pensare ancora di piu' a lui, al piccolo uomo, che i miti lo perseguitavano da troppo tempo. Si e' preso il suo trionfo, la sua Coppa, il suo posto al sole tra i pari del calcio tedesco e ha tirato un calcio al fantasma, forse lo ha preso, forse no, Beckenbauer era elegante anche nello sgattaiolare via”.
Le parole di Roberto Perrone, dalle colonne del Corriere della Sera, fotografano alla perfezione il successo della Germania in un Europeo sotto tono, con poche luci e molte ombre, a iniziare da un’Italia così brutta da non sembrare vera.

Un altro calcio, o nuovo, se preferite. Le sempre più esigenti regole del businness portano la Fifa a partorire un bizzarro format. L’organo mondiale del calcio decide di cambiare la formula dell'Europeo 1996 quanto basta per portare sui campi d'Inghilterra, dove andrà in scena l'atto finale, più squadre possibili, senza lasciare a casa le migliori. Otto gironi e 48 formazioni impegnate nelle fasi di qualificazione, per fare arrivare all'appuntamento inglese le migliori sedici, il doppio rispetto alle fasi finali delle edizioni precedenti. Le qualificate vengono divise in quattro gironi, da cui usciranno le otto protagoniste dei quarti. L'idea è quella di rendere più viva e accesa la manifestazione, di assicurare spettacolo. Ecco spiegata la scelta del "golden gol", regola già sperimentata agli Europei Under 21 del 1994, e sfruttata nel migliore dei modi dall'Italia di Cesare Maldini e Pierluigi Orlandini.

All’atto conclusivo arrivano Germania e Repubblica Ceca, nostre carnefici nel girone di qualificazione. La Germania di Berti Vogts è lontanissima parente di quella iridata nel Mondiale italiano. Si poggia ancora sull’esperienza del centravanti di Göppingen, Jürgen Klinsmann, diventato capitano. Accanto a lui pochi talenti: Andreas Möller, Mehmet Scholl e Matthias Sammer, carneade nell’Inter ed ora protagonista con la maglia del Borussia Dortmund, con cui ha vinto la Champions League.
I tedeschi arrivano in finale con i galloni da favorita. Negli quarti è Sammer a decidere la sfida con un’acerba ma già solida Croazia, guidata da quel Davor Suker che sarà grande protagonista al Mondiale francese del 1998. In semifinale sono invece i “Leoni indomabili” padroni di casa ad arrendersi. La partita fra Germania ed Inghilterra è piacevole, ma una volta arrivati ai supplementari vincono noia e paura. Ai rigori servono i tiri ad oltranza per decidere chi pesterà il prato di Wembley. Möller, squalificato per un eventuale atto conclusivo, non sbaglia. A tradire Shearer e compagni è il difensore Gareth Southgate, che cade sul campo tenendosi le mani sul volto.

La Repubblica Ceca è una compagine di straordinaria compattezza. Nessuno avrebbe mai pronosticato un cammino del genere, e forse i detrattori dei cechi ne avevano ben donde. I ragazzi guidati da Dušan Uhrin sono un gruppo generoso che gioca arroccato in difesa. Davanti può contare su due fuoriclasse in erba, Pavel Nedvěd e Karel Poborský. Tutto il resto è noia, o qualcosa di veramente simile.
Per gli uomini di Uhrin la impresa è stata passare i gironi ai danni dell’Italia, tradita nuovamente dagli undici metri, stavolta per “mano” di Gianfranco Zola. Sorprendetemente i rossi fanno fuori il Portogallo di Figo, Rui Costa e Fernando Couto, una leva strabiliante fra i giovani e poco vincente a livello di Nazionale maggiore. In semifinale è la Francia di Jacquet ad arrendersi. Dopo 120’ di noia mortale nessuno avrebbe scommesso su Nedvěd e compagni. Giovani talenti come Zidane, Thuram e Djorkaeff, guidati dagli esperti Blanc e Desailly, non si sarebbero dovuti far prendere dall’emozione. I cechi però non sbagliano un colpo, ed al sesto rigore è il centrocampista transalpino Reynald Petros (passato a Parma come un fantasma) a timbrare il “foglio di via” per sè ed i connazionali.
Non giriamoci attorno, la Germania è una squadra brutta, vecchia e bollita. Decimata da infortuni e squalifiche si presenta stanca e datata all’appuntamento più importante. Non è per nulla adatta al ruolo di prima della classe nemmenola Repubblica Ceca, arrivata fino in fondo con un gioco fatto di attese, coperture, ripartenze. Per dirla all'antica, di catenaccio e contropiede. Eppure riesce ancora a sognare e a sentirsi per un attimo addosso il ruolo di Cenerentola predestinata.
Nonostante si ritrovino alla canna del gas, i tedeschi provano fin dalle prime battute a conferire maggiore rotondita' alla manovra, scontrandosi però con la linea Maginot eretta dallo stratega dell’est. Per mezz' ora la finale vive di una sterile contrapposizione tra i due blocchi, prima che Kuntz si presenti per due volte nel volgere di sette minuti dinnanzi a Kouba. Bravo e coraggioso il portiere ceco nel primo caso; fortunato al 34' , quando è Hornakin a salvare sulla linea in rovesciata, spazzando via un pallone ormai in rete. Dei ritmi languidi la Repubblica Ceca ne ha fatto un must, la loro tattica è addormentare il match per poi spezzare l’equilibrio con accelerazioni al fulmicotone. Kuka e' irresistibile nel finale del primo tempo, quando va via di forza sulla sinistra, si libera di Eilts con un cambio di marcia e costringe Koepke ad un miracolo.

I ragazzi di Praga, scrollata di dosso la tensione, sembrano più freschi e motivati. La corsa inesauribile mette a nudo il passo greve di una Germania sempre piu' incerottata, che perde anche Eilts, uomo irrinunciabile del sergente Vogts. Per rompere l’equilibrio del match serve la mano caritatevole di Pairetto, fischietto nostrano che sanziona con il rigore un aggancio scorretto di Sammer su Poborsky avvenuto appena fuori dall' area. I cechi si abbracciano e si caricano, sul dischetto va Berger, che non tradisce i suoi compagni facendo passare la palla sotto il corpo di Kopke.
Vogts studia le contromosse e pesca il jolly della vita. Oliver Bierhoff è l’uomo giusto al momento giusto. Il centravanti tedesco di nascita e friulano d’azione ci mette tre minuti a lasciare la sua zampata. Numero 20 sulle spalle, Oliver è il più lucido sulla lunga punizione di Ziege. Sfrutta un blocco falloso di Babbel e incorna la palla con il suo pezzo forte, rimettendo la Germania in partita.
I tempi regolamentari proseguono sul filo dell’equilibrio, con le squadre incapaci di farsi del male. Nei supplementari viene fuori l’esperienza della Germania, trascinata ancora da Bierhoff , che inventa il primo "Golden gol" dell' eurostoria. Stavolta, pero' , c'e' qualcuno a spianargli la strada. E' il meno sospettabile di tutti, Kouba, il portiere paratutto, che sul suo diagonale di sinistro si oppone a mani aperte, schiaffeggiando il suo sogno e quello di i cechi al primo grande appuntamento con la storia.
Il calcio è crudele, inutile negarlo. Basta un istante di distrazione, un’incertezza e tutto va in fumo. Probabilmente la Germania non si sarebbe meritata quel titolo europeo; sicuramente Matthias Sammer non doveva prendere il Pallone d’Oro. Lo dico senza fronzoli, senza peli sulla lingua, il riconoscimento conferito da France Football al libero tedesco è uno scandalo. Giocatori di ben altra levatura non possono mostrare sul camino di casa l’ambito premio. Penso a Gigi Buffon, ad Alex Del Piero e a Raùl. Ma anche Thierry Henry, Franco Baresi, Xavi Hernandez o Iniesta, tutti campioni di spessore, con in bacheca titoli a livello di club e di Nazionale. Per descrivere la scioccante decisione di assegnarlo al numero 6 della Germania non servono altre parole, bastano questi nomi.

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