Esperto di Calcio

10 febbraio 2014

Dai Diamanti non nasce niente...da Cristaldo nascono i goal

Da un paio di giorni voglio scrivere qualcosa sulla scelta di Diamanti, condivisibile e non a seconda dei punti di vista. L'amico e collega Alfredo de Vuono, direttore di Fantagazzetta, mi ha preceduto con un editoriale dal titolo FANTASTICO. Gli faccio i miei complimenti e invito tutti voi a leggerlo e gustarvelo, è un pezzo che merita.

Siate onesti. Quanti di voi hanno dato addosso ad un giocatore, al pub o dagli spalti, attaccandosi ai soldi che guadagna? Molti, ci scommetto. «Strapagato!»; «Non li vali!».
Raramente, però, accusiamo i presidenti per avergli accordato quegli ingaggi. Ce la prendiamo sempre on i giocatori, per aver avuto la faccia tosta di accettarli. Ed è questo che non riesco a capire. In quanti, quale che sia la loro estrazione sociale, direbbero: «Sai cosa? Credo che tu mi stia pagando troppo»? 
Quello che sto cercando di dire è che i proprietari dei clubs sono responsabili tanto quanto i calciatori dell'entità degli ingaggi. In fondo un giocatore può aggiungere tutti gli zeri che vuole alla cifra che chiede, ma finché non troverà qualcuno disposto a darglieli, quei soldi non li vedrà mai. 
I giocatori non hanno alcun obbligo morale nei confronti delle finanze di un club. Sono giunto alla conclusione che nel mondo del calcio, in alcuni casi, sentirsi professionalmente appagati può andare di pari passo con uno zero di più sul conto in banca. Dopotutto, quand'è abbastanza?

No, non sono parole mie. Ma sono abbastanza vicine al mio pensiero, in materia. Purtroppo, però, non sono in grado di dirvi chi le abbia proferite. Anzi, scritte, visto che stiamo parlando d'uno dei capitoli - non il più interessante, in verità - di 'I Am The Secret Footballer'. Uno dei recenti fenomeni editoriali, soprattutto in Inghilterra, dove un ex calciatore - almeno così dicono. Io ne dubito fortemente - si sarebbe messo a disposizione del mondo intero, raccontando curiosità, retroscena e aneddoti, talvolta anche imbarazzanti, del calcio professionistico. 
Premessa: leggo il libro solo in questi giorni, e quindi in lieve e giustificabile ritardo rispetto alla pubblicazione dell'edizione italiana. Lo ritengo assolutamente prescindibile, dal punto di vista dell' "indottrinamento" calcistico, anche per i più fedeli appassionati, considerato anche che, col passare dei tempi, saranno sempre meno i segreti di quella scatola chiusa chiamata pallone che, con l'aumentare dell'efficacia e dell'intromissione dei media e dei social, si schiude sempre più progressivamente, fino a svelarci le sue più recondite bassezze ed iniquità. Roba da infarto, per chi veramente questo gioco lo venera alla follia, e man mano se ne disamora, quando entra a contatto con la sua reale essenza. Proprio come una donna dall'eterea bellezza, mirata e rimirata attraverso il filtro spesso mistificante dell'inarrivabile distanza, che poi crolla come muro di carta e di incenso quando quella distanza viene annullata dalla prossimità, ed ogni aspirazione ed ispirazione rasa al suolo dal raggelante contatto con la realtà. 

Detto ciò, e cercando di tornare una volta per tutte in tema, esistono passaggi del libro - tra i quali, appunto, quello dedicato agli emolumenti dei calciatori - particolarmente eloquenti. Si tratti o meno di considerazioni realmente appartenenti ad un giocatore, l'analisi e la freddezza con la quale viene trattata l'argomento 'denaro' è l'azzeramento della distanza stessa di cui parlavo poc'anzi. Per tutti i professionisti - quasi, tutti. La generalizzazione teniamocela per altri ambiti - esiste un solo Dio, che fa da padre putativo alla Dea Eupalla: e si chiama Contante. 
Vive, come scrive giustamente TSF, in un luogo non meglio definito ma localizzabile più o meno a metà tra le proposte ardite di spietati manager a percentuale ed il libretto di assegni, più o meno spesso, di magnati che, nel calcio, riversano giusto gli spiccioli d'un patrimonio smisurato.
E', su per giù, anche il caso di Alessandro Diamanti. Uno degli ultimi, veri, talenti del calcio di casa nostra che dice addio e vola via, lontano. Anzi, lontanissimo, visto che, a memoria mia, mai uno dei migliori d'un campionato ancora mirabile come quello italiano s'era spinto sin oltre la Grande Muraglia, a disputare le sue ultime stagioni. Non tornerà mai più in Italia, Alino. Quando il multimilionario contratto che lo lega a Marcello Lippi scadrà avrà ormai superato i 35 anni, e probabilmente la voglia e la forza saranno già svanite. 
Ma cerchiamo di ricostruire i pezzi dell'ultimo, grande addio (peraltro a mercato in entrata chiuso, dettaglio non trascurabile) alla Serie A. Lippi chiede a mr. Liu Jong Zhuo - che gli riconosce per inciso 10 milioni all'anno e che già da tempo tratta parte delle quote del Milan - un campione in grado di vestire il ruolo di vera star del campionato cinese, oltre che del club di Canton. Si sceglie il capitano rossoblù, si trova l'accordo con il Bologna, poi non si trovano le necessarie garanzie bancarie.Guaraldi congela il tutto: ma nel frattempo la proposta (quasi 4 milioni netti all'anno per tre anni, con opzione sul quarto) arriva ad Alino. 
Lui, il ragazzo di Prato con un trascorso non esaltante all'estero, padre di tre figli e sposato con la bellaSilvia Hsieh. Taiwanese (non cinese, come dicono alcuni: cinesi sono i suoi genitori), quindi non certo distante dalla cultura e dal mondo che propone un futuro radioso a lei ed a suo marito.
Un marito professionalmente esploso tardi, troppo tardi, e che in carriera non ha certo avuto le fortune di tanti altri suoi coetanei capaci, un po' grazie all'abilità dei propri agenti, un po' grazie alla sprovvedutezza di alcluni di quei dirigenti che raccontava TSF, di diventare milionari quando lui ancora mordeva i pochi fili d'erba che abitano, solitari, i campi sterrati di C2. 
L'occasione di diventare veramente ricchi, grazie a quel mancino fatato che madre natura gli ha regalato, "è adesso", si sarà detto Alino. Non che, fino alla scorsa settimana, la famiglia Diamanti si nutrisse di muschi e licheni, per carità. Tra i felsinei il suo, da 1,5 milioni annui, era il contratto più oneroso. Ma più che triplicarlo, affrontando sfide molto meno stimolanti ma anche molto meno tedianti, il fato non poteva proporgli. E così è stato. Alessandro ha accettato la corte dei cinesi, e spinto Guaraldi a cederlo, forzando quelle garanzie bancarie che, solo fino a pochi giorni prima, sembravano non esistere.

La verità è che, quando ci sono di mezzo i soldi, le bandiere non esistono. Le bandiere esistono solo nel volontariato.
Anche questa frase non è mia, per quanto anora una volta vada presa, a ragione, come veritiera; ed anche stavolta, fatte le dovute eccezioni, rispecchia alla perfezione il mondo del calcio. Queste, però, sono parole che hanno un padre vero e riconosciuto, e non uno scaltro personaggio letterario immaginario che qualche altrettanto scaltro editore ha avuto l'intuizione di partorire. Le ha proferite,ed il web inevitabilmente incise ad imperitura memoria, proprio Alessandro Diamanti, giusto un anno fa.
Riflessioni che adesso, a posteriori, lo "discolpano", se ce ne fosse bisogno. Diamanti ama il calcio ma, come  tutti i suoi colleghi (e TSF), sa anche che esso, arrivato a determinati livelli, è un mestiere come tanti.
Certo molto più facile ed agognato, ma non per questo diverso, sotto il profilo strettamente professionale. Ed a 31 anni, senza la concreta prospettiva di vestire la maglia d'una qualsiasi grande d'Europa, ha pensato bene non solo di accettare, ma di far accettare la sua società. Cui, ovviamente, ha dato non tanto, ma tantissimo. 
Biasimabile? No di certo. Anche perché, come dice TSF, agli occhi di un professionista "non si hanno obblighi morali nei confronti delle finanze di un club". Ovviamente, però, il riferimento è rivolto al club che acquista, non a quello che cede. 
Non che al Bologna dispiacciano gli 8 milioni iscritti a bilancio, in effetti; così come ai rossoblù non dispiacerà certo lanciare, in via definitiva, e nei mesi a venire, il Churry Cristaldo, oggi autore d'una doppietta tanto inaspettata quanto importante, ai fini del raggiungimento del vero obiettivo del club: la salvezza. E' tutta qui la reale motivazione alla base del linciaggio operato in queste ore nei confronti di Diamanti: il non aver voluto attendere la fine della stagione per "abbandonare" il Bologna. Ovvero, la squadra che l'ha lanciato nella costellazione dei 'top' del nostro calcio, e sospinto anche verso la Nazionale.
Ah, già, la Nazionale. Basterà la Chinese Super League a Prandelli, per valutare il suo trequartista di scorta, ed a lui a farsi scegliere, in ottica Mondiale? Probabilmente si. 
Esulando dal discorso economico, difatti, non si fanno passi del genere e non si consumano addii di questo tipo se non si hanno, dal proprio C.T., confortanti rassicurazioni. Rassicurazioni che, quindi, presumo il buon Alino avrà ricevuto: perché, in caso contrario, allora, il grosso delle considerazioni di questo pezzo andrebbero fuori target almeno quanto una punizione rossoblù, ora orfana del suo amato '23', affidata ad un Christodoulopoulos qualunque.
Meno male che c'è Cristaldo, dunque. Potrebbe esser lui a salvare il Bologna, pur percependo un ingaggio che, seppur pagato in parte dal Metalist, è di molto inferiore a quello di Alino. Non che i piedi ed il genio dei due siano paragonabili: anche se, a ben vedere i freddi numeri, i 3 gol ed i 2 assist serviti sinora dal 24enne appassionato di churrasco non sono poi così lontani dai 3 (e tre rigori) gol e 3 assist serviti alla causa dall'ex capitano, considerata soprattutto la sostanziale differenza di minutaggio.

E allora, ciao Alino.
Insegna ai cinesi più grandicelli come si battono le punizie dal limite, ed a quelli più giovani cos'è il fantacalcio, magari proponendoti, come sempre, come uno dei centrocampisti più ambiti.
Ci rivedremo, probabilmente, a luglio, per un'ultima sgroppata sul centrodestra a tempo scaduto, magari condita al culmine da una bella palla in mezzo a giro per l'intervento in spaccata di Balotelli che vale una semifinale o, forse, qualcosa di più. Basterà qualche mese di latitanza dal calcio che conta a farti perdere la fame di vittoria azzurra? Spero proprio di no. E se anche fosse, ce ne faremo una ragione. 
Ragione che, invece, non mi sarei mai fatto se, a 31 anni, uno come Francesco Totti avesse fatto la tua stessa scelta. Non che non ne abbia avuto la possibilità, ça va sans dire
Alla tua età, Totti, di milioni ne percepiva circa 6, aveva già giocato oltre un decennio di A a livelli prepotentemente alti e vinto uno scudetto ed un Mondiale. 
"Se gli chiedessero di giocare gratis sarebbe una bandiera, con dieci milioni di stipendio è facile", avesti a dire, a suo riguardo, in quella famosa intervista. 
Tu, invece, che una bandiera non sei mai stato e che tale, evidentemente, mai vorrai, e potrai, essere, hai preferito la Cina. Legittimo, come ribadisco sin dall'inizio del pezzo, che peraltro ha sottratto spazio a tutti gli altri temi di giornata. Legittimo, appunto. Ma altrettanto facile. 
Se non addiritura di più.

P.S.: A proposito, dovesse venirvi in mente il nome di questo cavolo di Calciatore Misterioso, segnalatelo su www.whoisthesecretfootballer.co.uk, dove decine di migliaia di inglesi ragionano quotidianamente, intrecciando casistiche, coincidenze ed indizi, cercando di individuare l'ormai celeberrimo 'pentito'.
E poiché ormai chiunque dice la sua, la butto lì pure io. Se, come ancora penso, TSF non dovesse essere il ragionato (e geniale) espediente d'un collega d'oltremanica - cui invido clamorosamente l'intuizione - allora, magari...Potrebbe avere 31 anni; i capelli folti, ricci, scompigliati e castani; ed un conto in banca più ricco solo del suo piede sinistro. 
A proposito: l'hanno già tradotto il libro in cinese?

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