Esperto di Calcio

13 maggio 2014

Storie di calcio: quando il Football insegna ad amare

Mentre in Italia passiamo le giornate a far polemica e farci la guerra, gli scozzesi ci danno una grande lezione. Chi segue questo blog sa che a me, non so esattamente per quale ragione, la Scottish Premier League ha sempre affascinato. L'Old Firm e quel sapore di competizione vera, maschia, intrigano come pochi chi ama il calcio. In campo gli scozzesi se le danno di santa ragione, magari con contenuti tecnici non all'altezza del grande calcio. Fuori, però, uno spettacolo immenso. Uno stadio sempre pieno, colorato con i vessilli e le sciarpe ufficiali; canti e cori all'unisono. E' questo lo stadio che mi piace, quello in cui padri e figli passano la loro domenica insieme, dove tutti pagano per entrare e sono composti nel fare il tifo. Gli assordanti urli di Ibrox e di Celtic Park sono lo specchio di una cultura del tifo che qui, purtroppo, possiamo solo sognare.

Ieri ho provato profonda tristezza nel leggere l'intervista all'ultrà del Napoli, che sprezzante dichiarava che "loro non pagano il biglietto"; così come sono sempre scosso nel vedere a Palermo finti disabili alzarsi  come per miracolo.
Ma ci sono poi le storie che mi riconciliano col football, quello vero. E la storia di oggi ci riporta nuovamente a Glasgow, specificamente a Celtic Park. I bianco-verdi di Scozia, come prevedibile, si sono laureati campioni per la quarantacinquesima volta. Lo stadio era gremito per festeggiare l'evento e i giocatori si sono goduti una festa bellissima, che solo il primo Scudetto dell'era Conte può ricordare nel Bel Paese. Ma in quel caso il frastuono di gioia non era tanto legato alla sola festa tricolore, ma era il saluto per un immenso giocatore come Del Piero, simbolo e bandiera della Signora. A Glasgow, invece, questo tipo di feste sono all'ordine del giorno, con un pubblico composto e giocatori sorridenti, pronti a farsi abbracciare dai propri fan. Nulla di nuovo verrebbe da dire, eppure un grande gesto si è consumato.

In prima fila, fra gli spalti dello stadio, siede un padre con il bambino. E' molto piccolo, avrà si e no cinque anni, ma è già un accanito tifoso del Celtic, amore ereditato dal padre. Sciarpa al collo e occhialini verdi, il bambino ha un sorriso favoloso, bellissimo, che quasi per un attimo cancella i problemi che avrà nella vita. Sfortunatamente per lui, infatti, è affetto dalla sindrome di down. Ma non gli importa nulla, è solo concentrato sui suoi eroi, sulla gioia che il Celtic ha dato a lui e a suo padre, che lo tiene in braccio stretto a sè.
E qui si consuma una delle più belle pagine di calcio della mia vita, uno di quei momenti da far vedere nelle scuole. Al bambino si avvicina Neil Lennon, allenatore della squadra. Lo vede e si toglie la medaglia dal collo, si sporge e la regala al bambino, che la sventola con orgoglio. Ma la sua attenzione è però immediatamente catturata da un ragazzone alto, con la barba. Si chiama Georgios Samaras, non sarà un fenomeno, ma da queste parti è una leggenda. Appena lo vede il bambino protende la mano verso di lui e lo chiama. Il centravanti greco si avvicina e protende le braccia; ma non si limita a dare un "cinque". Dopo un rapido cenno d'intesa con il padre, l'attaccante prende il bambino in braccio e lo porta in campo. L'espressione di gioia pura che si dipinge sul volto del giovane fan rappresenta il motivo per cui amo questo sport. E nessun delinquente travestito da tifoso potrà mai guastare questa passione; nessuno ce lo potrà mai portare via.

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