Esperto di Calcio

9 gennaio 2015

Storie di calcio: salvate il soldato Osvaldo

Sguardo da divo di Hollywood, capello curato, carattere fumantino. Descritto così non sembrerebbe quasi un calciatore, eppure i numeri del grande attaccante li ha tutti. Pablo Daniel Osvaldo, italo-argentino classe '86, è uno di quei talenti che difficilmente passano inosservati. La sua forza sta nel modo in cui gioca a pallone e nella cattiveria con la quale punta le difese avversarie. Fare goal, per lui, non è mai stato un problema, anzi. Il suo limite sta invece in un carattere difficile da domare, in quello sguardo che esprime chiaramente il suo essere poco incline alle regole, agli schemi.
Sulle qualità di Osvaldo nessuno ha mai avuto da ridire. Tutti i suoi allenatori, ivi compreso l'attuale commissario tecnico dell'Italia, ne hanno sempre scorto il grande potenziale, fisico, tecnico e tattico. Eppure, nonostante le sue doti siano fuori dal comune, ha sempre faticato ad integrarsi in un ambiente, a diventare il vero leader del reparto avanzato.

Cresciuto in Argentina nel Lanùs, Osvaldo esplode con la maglia dell'Huracan, mettendo a segno 11 reti nel campionato albiceleste a soli 19 anni. L'Atalanta si accaparra le sue prestazioni e di lì in avanti inizia un lungo peregrinare per l'Italia, fra Lecce, Firenze e Bologna.
A 24 anni l'occasione di mettersi in mostra in un grande torneo gliel'ha regala l'Espanyol. A Barcellona il talento di Osvaldo deflagra letteralmente, mettendo a referto 22 reti in poco più di 15 mesi. Nella Liga segna e fa segnare, fa reparto e aiuta i compagni. Sembra finalmente sbocciato il talento che tutti gli addetti ai lavori si aspettavano. 
Nel 2011 lo riporta in Italia l'ambiziosa Roma di Luis Enrique, che lo pone in mezzo ad un tridente con Totti e lo spagnolo Bojan Krkic, appena arrivato dal Barcellona. In men che non si dica Osvaldo si conquista il posto da titolare a suon di reti, diventando insostituibile nello scacchiere tattico del tecnico catalano. Ma l'avventura di Luis Enrique a Roma dura poco, e con il suo esonero iniziano i primi problemi per Osvaldo, messo in discussione dal traghettatore Andreazzoli. In tempo zero viene fuori il più classico dei pandemoni alla Osvaldo, con tweet, urla e liti.
L'estate successiva approda in giallorosso Zeman. Fra i due è amore al primo sguardo, perchè Osvaldo è "una forza della natura" a detta del boemo. Il centravanti vive una stagione sublime, mette a referto 17 reti ma continua a non avere un rapporto idilliaco con la piazza romanista. La relazione scoppia con l'allontanamento di Zeman, suo massimo sponsor, e l'approdo di Rudi Garcia alla corte romanista. 
L'inevitabile trasferimento porta il bomber in Inghilterra, al Southampton. Dopo un inizio scintillante ed un paio di reti da fantascienza, l'idillio finisce. E così Antonio Conte lo porta alla Juventus dove fa in tempo a vincere uno Scudetto con goal sotto la curva Sud della Roma e dito sulla bocca a modi scherno. Sembra un ragazzo nuovo, sta in panchina e non fa polemiche, gioca e ha un bel rapporto con i compagni e con l'allenatore. L'epilogo, anche in questo caso, non è dei migliori. Conte lascia la Juventus e Marotta preferisce investire su Alvaro Morata, lasciando Osvaldo a Southampton.

E arriviamo ai giorni nostri, con il centravanti che accetta le lusinghe dell'Inter e si mette a disposizione di Mazzarri. Fra i due la stima è totale, la sintonia è ai massimi storici. La squadra non è ai vertici, ma Osvaldo gioca e si diverte. Mette a segno reti meravigliose e sembra trovare una buona intesa con Icardi. Nel mentre, fra un infortunio muscolare e qualche sconfitta di troppo, l'Inter cambia guida tecnica e riaffida la panchina a Mancini.
La fine dell'amore fra Osvaldo e i nerazzurri si consuma in una fredda sera torinese, a pochi minuti dalla fine del derby d'Italia. L'Inter parte in contropiede con Icardi e Osvaldo si propone in profondità. Il numero 9 alza la testa, vede il compagno ma decide di non servirlo e fare tutto da solo. Il risultato è un tiro inguardabile sul fondo, e a Osvaldo parte l'embolo. Corre contro Icardi ed il solo intervento di Guarin impedisce che i due argentini arrivino alle mani. Mancini, da par suo, redarguisce il solo Osvaldo, che ovviamente non la prende bene. 
Sembra finito tutto con il fischio finale, ma pare non sia così. Negli spogliatoi, stando ai bene informati, volano parole grosse fra il tecnico e il centravanti. La rottura è insanabile, definitiva. 
Lungi da me giustificare le mattane di Osvaldo, ma in un contesto simile è stato scriteriato riprendere solo uno dei due. L'errore di Icardi è stato marchiano e figlio di un egoismo altamente negativo. Un grande attaccante sa quando passare il pallone e quando fare tutto da solo, da questo punto di vista Icardi deve maturare ancora molto. Fra i due, comunque, era questione di giorni prima che un possibile conflitto esplodesse.
E adesso? Osvaldo è un separato in casa, ma potrebbe fare al caso di molte squadre. Per lui sarebbe l'ultimo treno di una carriera che poteva essere diversa. La sua luce si è fatta fioca e come giocatore sembra destinato a passare alla storia come un ragazzo dal grande potenziale che non è mai riuscito ad esprimersi. A meno che non approdi al Torino, dove sono sicuro potrebbe diventare un idolo incontrastato e risollevare le sorti dei cugini granata. Ma per ora è solo una suggestione...

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